La scuola ieri, oggi… e domani? Riflessioni filosofiche

0
1952

Nella Grecia arcaica il governare era prerogativa degli aristoi, cioè solo  “i migliori” avevano il compito di dirigere  lo stato. Gli aristocratici possedevano l’aretè, cioè la virtù e l’aleteia (verità) intesa come  conoscenza del kalos kai agatos (il bello ed il buono) che, costituendo l’ideale da conseguire per sé e per gli altri, li legittimava ad essere i reggitori dello stato. Subito dopo gli aristoi venivano i tecnai, cioè i tecnici/artigiani, che a differenza dei primi possedevano, in via esclusiva, un sapere specifico utile alla collettività, ma non tale da elevarli alla guida dello stato al pari degli aristocratici.

 

Infine, sul gradino più basso della scala sociale, c’erano gli schiavi che, come ci riferisce Aristotele, erano assimilati agli animali domestici e quindi destinati a produrre con penia, cioè fatica (sofferenza), quanto fosse utile al benessere dei loro padroni. Ciò spiega perché il termine lavoro, inteso come attività produttiva degli uomini liberi, non esisteva nella lingua greca. L’ideale di vita era quindi il vivere nobilmente, sfruttando il lavoro degli schiavi, e dedicarsi alla cura dello spirito e alla ricerca filosofica o alla produzione/contemplazione del bello.  

Condizione di libertà e di schiavitù

Anzi la fatica, cioè l’attività legata alla condizione di privazione della libertà, era la norma solo per gli schiavi e destinata ad aggiungere una pena (penia) ai captivi (prigionieri di guerra) resi schiavi e privati della libertà. Insomma le sole classi ammesse all’isonomia cioè al godimento di pari diritti per i cittadini  erano: quella degli aristoi e quella dei tecnai.  Ma tale uguaglianza, riconosciuta solo nel diritto privato, non si estendeva al godimento dei diritti politici che erano appannaggio dei soli aristoi.

A rendere possibile anche ai tecnai la partecipazione alla vita pubblica fu l’avvento della democrazia in Atene. Da questo periodo, essa, come ci riferisce Tucidide nel suo discorso di Pericle sulla democrazia, fu il governo della maggioranza che riconosceva piena parità a tutti i cittadini di sesso maschile di età superiore a diciotto anni. In tale forma di governo, la volontà popolare si esprimeva nelle assemblee popolari grazie al voto, inteso come “la mano potente del popolo” e finalizzato alla tutela degli interessi dei più (Aristotele).

Questa forma di governo, fu particolarmente invisa a pensatori come Socrate, Platone e Aristotele e spesso fu bollata come “il governo della folla” perché aperta all’apporto del demo, cioè popolino.  

Malgrado però l’ostilità degli aristoi, a ben riflettere, fu un bene per la vita pubblica perché foriera di notevoli cambiamenti nella vita sociale di Atene e dell’intera Grecia classica. Grazie ad essa si sviluppò un forte interesse per i problemi educativi che quindi motivarono il potenziamento e nascita della scuola.  

Infatti, se le decisioni più importanti dovevano essere assunte nelle assemblee era indispensabile per i reggitori dello stato e per i partecipanti alle assemblee stesse possedere una particolare capacità di persuasione onde far prevalere le proprie tesi in questi consessi.

QUINDI NON PIU’ KALOS KAI AGATOS, MA RICERCA DELL’UTILE TRAMITE L’ARTE DELLA PERSUASIONE

Quindi la scoperta dell’importanza della retorica e l’abbandono del sapere astratto, generale e disinteressato tipico dell’età arcaica segnò la fine di un epoca e il sorgere di una nuova forma di ricerca del sapere da utilizzare al fine della conquista del potere. Il sapere divenne una merce, un bene da poter vendere o acquistare. I sofisti divennero centrali nella vita sociale e l’insegnamento acquistò un importanza sconosciuta fino ad allora.

Grazie alla scuola dei sofisti si sviluppò la forza della retorica perché atta a favorire la scalata sociale dei tecnai. Infatti questi, da sempre esclusi dal governo della polis, erano i maggiori e diretti interessati a voler utilizzare le opportunità offerte dalla politica ed appropriarsi di una tecnica argomentativa che potesse agevolare la riuscita della loro possibile scalata sociale.

Ne conseguì che l’insegnamento a pagamento che i tecnai grazie al possesso della retorica si videro riconosciuta la loro isonomia anche nella sfera pubblica.

Tutto questo costituisce l’antefatto della nascita della nostra scuola che, ancora oggi, risente di questa sua doppia origine.

Per cui si pone a cavallo tra desiderio di conoscenze universali e dominio di abilità atte a facilitare la scalata sociale dei ceti meno abbienti. In essa pertanto confluiscono più rivoli e fattori che tendono ad escludersi. Perciò da una parte è fonte di conoscenze proprie del mondo classico e dall’altra ricca di contenuti specifici atti a promuovere competenze finalizzate all’ingresso del mondo del lavoro.  

Spesso poi, a nodi tanto difficili da sciogliere, si aggiungono interventi non appropriati se non addirittura improvvidi. Tra questi brillano quelli della Gelmini che con i suoi tagli dell’organico ha determinato la  scomparsa di più di centomila  cattedre con  altrettanti posti di lavoro. Inoltre a cotanto senno si deve anche l’introduzione nelle scuole di secondo grado di tre indirizzi: quello dei licei, quello degli istituti tecnici e quello professionale. Essi non prevedendo la possibilità del passaggio da uno all’altro  indirizzo risultano ingessati e ricordano le famose caste indiane eterne ed immutabili. Anzi i tre percorsi, più che essere al passo con i tempi, sembrano destinati a cristallizzare vecchi rapporti di classe ormai superati.

I licei, continuano ad essere riservati ai futuri governanti

In essi si intravede la sopravvivenza della vecchia scuola di regime cui si aggiuge la presenza inquietante dell’alternanza scuola lavoro che ne determina una perdita di senso ed efficace coerenza.  Quanto agli istituti tecnici sembrano destinati a fornire tecnai dalle  competenze limitate e non forniti di quel sapere universale che li abiliti al governo di processi complessi. 

Infine gli istituti professionali ricordano le vecchie scuole riservate a chi, alla ricerca di un lavoro, volesse anticipare il periodo di apprendistato con la frequenza di corsi  riservati solo a lavoratori  destinati a compiti usuranti. Che la Gelmini ignorasse il significato, il valore e l’importanza del sapere cui tutti hanno diritto di aspirare è comprensibile (difficile dimenticare la sua incredibile affermazione sul tunnel percorso dai neutrini).

Ma solo la sua santa asinità ha potuto  donarci tale frazionamento dei  percorsi delle scuole superiori, senza rendersi conto del pericolo rappresentato dal riemergere di mali antichi.

  • Omnia munda mundis direbbero i saggi!
  • Ma oggi cosa si potrebbe fare per dare risposte agli studenti e alla società ?
  • Come salvare l’unità del sapere e la specificità dei tre indirizzi ?

Purtroppo, de iure condendo, penso che allo stato attuale non si possano abolire gli attuali tre indirizzi, per cui bisogna, facendo di necessità virtù, cercare di limitare i danni già prodotti dalla “ministra della pubblica distruzione” e tentare di salvaguardare, da una parte il diritto all’uguaglianza per gli studenti e dall’altra, dare un senso all’esistenza dei tre indirizzi.

A tale scopo si potrebbe chiedere ai futuri legislatori di tenere nel debito conto il fare scuola  di Atene del V secolo a.C. Lì ci furono i sofisti e Platone che insieme ad Epicuro e agli stoici fondarono scuole degne del nome che avevano e ad Atene ci fu il liceo di Aristotele. In esso si studiava di tutto, scienze sperimentali, astronomia, logica, fisica, ecc., e infine la metafisica intesa come materia da studiare dopo la fisica, perché atta ad unificare il sapere e dargli un senso. Certo oggi molte cose sono superate, ma non la consapevolezza dell’esistenza del sapere unitario che non disdegna la ricerca ed  il confronto con le cose.

Quindi una scuola degna di tale nome non può prescindere dall’esigenza di promuovere negli allievi il desiderio di conoscere ed apprendere innanzitutto ad apprendere, nella consapevolezza che le conoscenze non si possono acquistare a fette o a pezzi.

Quindi senza svalutare le conoscenze specifiche, esse vanno inserite in una visione complessiva ed unitaria che dia senso al vivere insieme e indichi la via da seguire nella ricerca e scoperta del necessario e dell’utile.

Quanto alla divisione del sapere in classico e scientifico mi riporto a Galileo Galilei, per cui la scienza dopo “sensate esperienze e certe dimostrazioni” ha la necessità di accordarsi con il pensiero classico che assegna un inizio ed uno scopo ad ogni percorso educativo che voglia far crescere lo spirito critico degli allievi. Mettere insieme tali percorsi è compito della scuola che la società si aspetta!

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here