Festa San Pietro 2022, la lettera di Don Peppino Esposito

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Carissimi fedeli,

colgo l’occasione dei festeggiamenti per condividere con voi ciò che abbiamo vissuto in quest’anno,  sollecitati dal Santo Padre Papa Francesco.

La parola Sinodo deriva dal greco (sun-orao) che significa uno “sguardo d’insieme”.  Papa Francesco ha desiderato parlare anche di “camminare insieme”. Nel difficile contesto attuale, in cui lo smarrimento e la tristezza sembrano a volte avere il sopravvento, la nostra missione si rivela più che mai difficile ma necessaria, perché la bellezza dello stare insieme, della comunione, è sempre una sorgente di gioia. Questa gioia, che viene da Dio, ci rassicura, ci fa bene”. In passato abbiamo organizzato ritiri spirituali, incontri e convegni ed era sempre incentivante perchè ci si conosceva, si comunicava i propri desideri, i propri sogni, le proprie apprensioni e preoccupazioni.  Lo stare insieme, gli incontri che vivevamo con tutti i fratelli della parrocchia non solo erano il modo per conoscerci ma anche per progettare una vita parrocchiale non da sagrestia ma per “uscire fuori”. L’apertura alle novità ci aiutavano a fare passi importanti di carità, di catechesi, di celebrazioni e di festa e oggi li viviamo con grande determinazione, buona volontà, intelligenza e passione. E’ nato e si è fortificato lo spirito di condivisione. E tutto questo ci ha portato a vivere i progetti di collaborazione, amicizia, carità, fraternità e comunione.  

“La bellezza della partecipazione crea la comunione” ha detto il Papa, “nel tempo e nello spazio”, perché “superando le frontiere delle diversità riusciamo a vivere la fraternità”.

In questo tempo liturgico in cui la pasqua ha corroborato la nostra anima prendiamo spunto dal brano del vangelo dei discepoli di Emmaus.

Il racconto dei discepoli di Emmaus non parla di un pellegrinaggio verso la città santa di Gerusalemme, ma un andarsene via da essa, delusi. Senza speranza.

Senza attesa non è possibile camminare con e verso la giustizia e la pace: queste infatti sono dono di Dio e come tali possono divenire profezia nel nostro mondo.

Lo sconosciuto (Gesù) ascoltato e accolto rianima i cuori nel momento della condivisone della tavola: allora anche il ritorno sui propri passi diventa via nuova. Lungo la strada due discepoli, di cui uno anonimo: rappresenta ogni discepolo di Gesù, ciascuno di noi. Un cammino a ritroso rispetto alla salita a Gerusalemme compiuta da Gesù e rispetto anche al pellegrinaggio compiuto pochi giorni prima per la Pasqua dei Giudei.

Questo episodio cosi pregno possiamo leggerlo anche da un’altra angolatura, mettendoci dietro alle tre figure che camminano su una strada di campagna, mettendoci alla sequela di Gesù stesso, seguendo le orme di quel pellegrino non immediatamente riconoscibile.

 È una prospettiva che ci può far scoprire un altro insegnamento lasciatoci da Gesù: diventare noi stessi “compagni” di pellegrinaggio di un’umanità smarrita e disillusa.

Forse, da questa angolatura, come Gesù, saremmo capaci di accostarci ai nostri fratelli e sorelle in umanità per ascoltare le loro speranze e le loro delusioni, per cogliere la tristezza, per capire la diffidenza di chi non vede nella propria vita e attorno a sé quelle energie di risurrezione di cui altri gli parlano.

Come Gesù, sapremmo allora rendere parola di vita ogni versetto della Scrittura ricollocandolo nel compimento di una promessa più grande di quella annunciata da qualsiasi liberatore politico. Come Gesù sapremmo discernere lo slancio di umanità che porta a condividere casa e mensa con lo sconosciuto che non si può lasciare per strada quando la notte avanza. Come Gesù, sapremmo allora scostare la cenere della pigrizia, ridestare la passione nei cuori e restituire luminosità allo sguardo che discerne nel pane spezzato il corpo donato. Oggi non sappiamo con precisione quale e dove sia il villaggio di Emmaus: forse è un invito a identificarlo con ogni villaggio abitato da cuori che desiderano ardere e sperare.

Oggi il villaggio è Caivano con tutti i suoi paradossi e criticità. E’ Caivano il luogo della nostra testimonianza, non rifugiamoci nel superficialismo e nel pressapochismo dicendo “tutti i paesi sono uguali”. E’ vero ma noi viviamo qui, Gesù ci chiede di dare il nostro contributo umano, culturale e cristiano.

Su quella strada, che da Gerusalemme torna indietro verso ogni nostro villaggio, ciascuno di noi incontra discepoli noti e discepoli anonimi, uomini e donne, incontra pellegrini sconosciuti che celano un Gesù misconosciuto, ma soprattutto incontra e reincontra se stesso, riscopre di avere un cuore e delle speranze, occhi per vedere e orecchi per ascoltare, ritrova se stesso in piena solidarietà con ogni essere umano. Incontrare Dio, incontrare se stesso e incontrare il prossimo non solo è le strada che la Chiesa ci detta ma è la strada che qualifica la nostra vita personale e comunitaria ci aiuta a leggere tutti i momenti di carità e di fraternità come occasioni di salvezza.

Noi siamo strumenti di salvezza per tutti!

Questo territorio ha bisogno di noi cristiani! Viviamo in prima linea!

Non ci nascondiamo dietro le nostre pochezze, incertezze e malevolenze! “Usciamo” dal guscio nel nostro egoismo! Andiamo verso l’altro!

 

 

Don Peppino Esposito

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