Martina Carbonaro, una 14enne di Afragola, è stata vittima di femminicidio, lapidata brutalmente dal suo ex ragazzo, Alessio Tucci, di 19 anni. Una tragica notizia, che ha sconvolto l’Italia, per la sua estrema crudeltà.
“Liberatevi dall’idea del possesso. Lasciatevi aiutare, ragazze, non restate sole. Vi prego, non affidate ai social le vostre paure. Affidatevi agli adulti che ci sono e che possono darvi un aiuto. E sia chiaro, l’amore non è possesso, non è controllo, non è dipendenza. Se per amore dovete annullarvi non è amore, è solo violenza. E la violenza non è mai giustificata” sono state queste le toccanti parole del Cardinale Domenico Battaglia, durante i suoi funerali, che sono stati celebrati ieri alla Basilica di Sant’Antonio, ad Afragola.
L’episodio richiama agli attenti tutti noi, a nome delle infinite vittime. Il femminicidio identifica un tipo di violenza, che nasce da una matrice ideologica basata sul patriarcato e vede la donna in uno stato di schiavitù e dipendenza; chi esercita violenza si sente in diritto di poterlo fare. Per questi motivi, c’è stata l’introduzione nel sistema giuridico italiano del reato di femminicidio.
La nuova legge sul femminicidio
Tra le altre misure previste, l’introduzione nei confronti dei detenuti colpevoli di reati del Codice rosso di limitazioni all’accesso ai benefici previsti dalla legge; la presunzione di adeguatezza degli arresti domiciliari in sede di scelta delle misure cautelari; informazioni, su loro richiesta, ai parenti della vittima in caso di evasione, scarcerazione, revoca e sostituzione delle misure applicate all’imputato o al condannato. Tale condotta rappresenta una fattispecie autonoma rispetto all’omicidio, che, per la gravità del fenomeno, il disvalore della condotta e la particolare struttura del reato, viene punita con la pena edittale dell’ergastolo, con applicazione di una pena non inferiore ai 24 anni di reclusione in caso di concorso di una singola circostanza attenuante.
Programmi educativi dedicati
Nonostante l’inasprimento delle pene, è giusto riflettere sulla necessità di un cambiamento radicale della nostra società.
Sarebbe davvero utile, poter auspicare alla possibilità di avere dei programmi dedicati alla prevenzione, destinati alle scuole e alle istituzioni pubbliche. Un team di psicologi e sociologi, che possano offrire assistenza gratuita ai ragazzi, con dei laboratori e dei percorsi di formazione.
La gogna mediatica
La vicenda di Martina ha aperto una profonda riflessione sulla nostra società. La spettacolarizzazione dell’immagine è stata la conseguenza mediatica che nessuno avrebbe voluto vedere. Il marketing conseguente alla morte della giovane ragazza, i video dei Tiktoker che hanno cominciato a spopolare in rete, la vittimizzazione dei genitori e della conseguenza polarizzazione dell’opinione pubblica, ha fatto nascere ad hoc “opinionisti esperti della violenza di genere”, mentre i veri professionisti hanno preferito tacere. Dopo la gogna mediatica, il rispetto per la vittima e per la sua famiglia è doveroso.
Elementi da valutare: condotte pericolose
Ci sono però degli elementi da valutare. Martina ha iniziato la sua relazione con Alessio all’età di 12 anni, in una fase evolutiva definita “fanciullezza”. Era, in pratica, una bambina quando ha dovuto confrontarsi con un ragazzo di 17 anni e scoprire in modo prematuro gli approcci della sfera affettiva e sessuale. A quell’età non si è consapevoli e neanche in grado di gestire le conseguenze di un rapporto asimmetrico. La differenza d’età è notevole e l’ufficializzazione della storia ha dato il massimo potere al suo ex fidanzato da poter pensare: “O con me o con nessuno”.
Dopo uno schiaffo ricevuto, Martina ha deciso di lasciarlo. La conseguenza è stata fatale. Gli elementi di tossicità sono stati percepiti dalla ragazza, a punto tale che abbia deciso di interrompere la relazione, ma ormai era troppo tardi, Alessio aveva già preso il sopravvento Con una scusa banale, l’ha condotta in un’abitazione abbandonata dell’ex custode del campo Moccia, ad Afragola (e su questo bisognerebbe chiedersi perché queste strutture abbandonate siano ancora accessibili, poiché è risaputo che sono ricettacolo di violenze e abusi) dopo l’ennesimo rifiuto di un tentato abbraccio (probabilmente aveva chiesto anche altro) la ragazza si è ribellata.
Alessio l’ha lapidata, colpendola più volta, provocandole tante lesioni da renderla irriconoscibile. Questo trattamento non si è fermato al semplice raptus emotivo, ma ha preso il sopravvento, rendendo il tutto più crudele, quando la vittima è stata abbandonata in un armadio coperta da detriti e calcinacci, mentre era ancora agonizzante. Non sappiamo se Alessio avesse premeditato l’omicidio, ma sappiamo che lo ha compiuto nel peggior modo possibile. In attesa di una conferma dell’esame istologico sui polmoni, potremo comprendere quanto sia stato il tempo vitale della vittima in quello stato.
Alessio Tucci è stato accusato di omicidio pluriaggravato, occultamento di cadavere, con l’aggravante di crudeltà. Il suo legale, Mario Mangazzo, infatti, ha chiesto il trasferimento del suo assistito dal carcere di Poggioreale, ad un’altra struttura penitenziaria, che non è stata comunicata per motivi di sicurezza. Sappiamo però che tra i detenuti esiste un “codice d’onore” che non risparmia coloro che fanno violenza su donne e bambini, e credo che nonostante le misure preventive, tale trattamento punitivo potrebbe lo stesso verificarsi.
Da questa vicenda è utile comprendere quanto sia urgente una trasformazione sociale, che mai, come in passato, la famiglia, la scuola, la Chiesa e tutti gli organi preposti debbano collaborare al fine di prevenire episodi simili. In un mondo dove la violenza predomina, la differenza la può fare solo un’inversione di tendenza.