Caivano, operai di una fabbrica del settore acciaio, rilevano l’azienda

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Come riporta Il Mattino di oggi a cura di Marco di Caterino, gli operai diventano proprietari della propria fabbrica, ecco l’articolo:

CAIVANO – Da operai a soci. Piuttosto che finire nel limbo della cassa integrazione, e a cinquant’anni e più trovarsi senza lavoro e senza sussidio, 57 operai della Italcables di Caivano – azienda siderurgica di livello internazionale, leader nella produzione di filo, trecce e trefolo di acciaio per il cemento armato – chiusa da due anni con il sicuro rischio di fallimento, hanno di fatto comprato l’azienda e fondato una cooperativa senza un euro di finanziamento pubblico.

E tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, non appena completate tutte le pratiche burocratiche, l’azienda che ora di chiama Società Cooperativa WBO Italcalbles con stabilimento a Caivano, tornerà a filare quel particolare profilato di acciaio, chiamato «Trefola», se è a sette fili ed è utilizzato per le funi che sostengono i ponti (quello del Garigliano, e l’Erasmus Bridge di Rotterdam), oppure «Trecce» una fune a cinque fili che regge i componenti dei cavalcavia, e « Filo», utilizzato per le armature delle traversone di cemento per le linee ad alta velocità.

L’operazione, unica nel suo genere nel settore pesante della siderurgia, definita come «workers buyout» si è conclusa negli ultimi giorni del mese scorso con la formalizzazione dell’acquisto al prezzo di 3,8 milioni di euro, ed è stata strutturata con la formula del fitto del ramo d’azienda, che alla fine di tre anni, diventeranno parte integrante del prezzo di acquisto, che comprende macchinari e tecnologie.

La domanda allora sopraggiunge spontanea. Ma come hanno fatto questi 57 operai, per giunta in mobilità a raggranellare – si fa per dire – circa quattro milioni di euro ? A rispondere uno schivo Matteo Potenzieri, ingegnere della «vecchia fabbrica», pure lui in mobilità, e oggi presidente della nuova cooperativa, a capo del consiglio di amministrazione formato da sette soci operai, insieme al rappresentante di Banca Etica e a quello della Lega delle Cooperative, due soggetti che hanno avuto una positiva parte attiva nell’operazione.

«È stata la volontà a non far chiudere questa azienda che, tra gli anni ottanta e fino al duemila, quando era del gruppo Redaelli, aveva fuori la porta centinaia di clienti esteri, primi tra questi gli arabi e libici. Di fronte alla prospettiva del fallimento della nuova proprietà, (una holding portoghese che controllava la sede di Brescia, quella di Pescara e Caivano) gli operai hanno deciso di fare qualcosa, anche perché le nuove norme in materia di lavoro lo consentivano. In pratica proprio perché eravamo parte di una azienda in dissesto, abbiamo chiesto ed ottenuto, anche con una certa celerità dal parte dell’Inps, tutto in una volta l’intero assegno dell’indennità di mobilità, senza aspettare la scadenza mensile. Qualcuno, e non sono pochi, hanno anche versato nella cassa della nuova cooperativa parte del loro Tfr. Così abbiamo messo sul tavolo circa un milione e trecento mila euro.»

Ed il resto? « Per il resto dobbiamo ringraziare sia Banca Etica, che contribuirà per un milione di euro e Legacoop, attraverso il fondo mutualistico Coopfond, con una cifra che oscilla tra un milione e un milione e mezzo di euro.
Due soggetti che ci hanno sostenuto, insieme al consigliere regionale Corrado Gabriele, nelle lunghe riunioni al ministero dello Sviluppo economiche e ai capaci funzionari della Regione Campania. Decisivo il progetto dei commercialisti Paolo Galdo e Roberto Rotolo. Ora siamo alle fasi della rimessa in moto degli impianti e prevediamo di entrare in produzione tra la fine di agosto e l’inizio di settembre.

«Ambizioso il piano industriale, che prevede la produzione nel primo anno di oltre 40 milioni di tonnellate di «Trefola», «Treccia» e «Filo», con uno sguardo particolare all’estero dove il nome Italcables è, nonostante tre anni di stop, ancora una garanzia. « Sembra una favola a lieto fine – dice Stefano Pellino, uno dei “vecchi” dell’azienda, che poi aggiunge – Ma non è una favola. Abbiamo dimostrato che al sud, nonostante i luoghi comuni riusciamo sollevare la testa e le braccia per lavorare, senza piagnistei e senza aiuti e finanziamenti pubblici. Aspettiamo Matteo Renzi per il primo giorno di lavoro. Così potrà rendersi conto di quanto valiamo. Chissà magari ci aprisse anche le porte alle commesse estere. E allora si che il nostro futuro sarebbe un vero lieto inizio».

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