L’origine della città di Napoli, tra leggenda e tradizione

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Articolo a cura di Gaetano Di Mauro

L’origine della città di Napoli e del suo nome si fonde con la storia, la leggenda e la poesia legato al mito delle sirene, che dall’alto degli scogli coperti di ossa imbiancate dal sole, con il loro canto melodioso e con voce umana traevano in rovina i navigatori di passaggio.
La leggenda ce ne tramanda tre: Ligea dalla voce d’oltretomba, Leucosia, la Bianca creatura, Partenope, dal volto verginale.

Leggenda di Leucosia

Secondo la leggenda sarebbero vissute fino a quando il loro potere di seduzione fosse durato; sconfitte da Ulisse, furono condannate a precipitarsi in mare e lasciarsi morire. Leucosia finì a capo Licosa, vicino Paestum, Ligea sulle coste di Bruzio, Calabria meridionale, presso l’antica Terina. Il corpo di Partenope, dagli scogli delle sirene, fu ritrovato spinto dai flutti sulla spiaggia di Positano.
Qui fu raccolto dagli abitanti del luogo che dopo averle dedicato un sepolcro, le tributarono onori, tra cui cerimonie con sacrifici di buoi, gare ginniche e fiaccolate nel villaggio di Megarite a Pizzofalcone del Sebeto e diedero al posto il nome di Partenope, poi Palepolis e nel V secolo Neapolis. Pian piano, con il diffondersi del Cristianesimo abbiamo ben presto a Napoli un fiorire di monasteri e chiese.

Il mondo monastico napoletano

Monasteri anche femminili dove i regnanti per preservare il regno e i beni ai figli maschi, relegavano le figlie femmine devolvendo all’istituto sussidi e continui beni materiali.
Fra tutte queste fanciulle ci sono quelle con dati storici talvolta accertati, considerate portatrici di eventi miracolosi.

Santa Candida sarebbe stata la prima Cristiana di Napoli, si narra di lei come una Santa velata del I secolo, battezzata e miracolosamente curata da San Pietro, che poi per sua intercessione guarì e convertì centinaia di miscredenti.
Santa Patrizia Vergine, nata a Costantinopoli e morta a Napoli nel VII secolo.

Si racconta che Patrizia, nipote dell’imperatore Costantino, durante una tempesta in mare fece voto a Dio di farsi suora di clausura se si fosse salvata. Appena la nave giunse a Napoli tenne fede al voto e cominciò a servire Dio in oratorio.
Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, nata, vissuta e morta a Napoli, si chiamava Maria Francesca Nicoletti, nacque nel quartiere di Montecalvario il 26 marzo 1715 da modesti artigiani. Quindicenne rifiutò le nozze con un ricco signore che il padre cercò invano di imporle.

A 16 anni si consacrò al Signore come terziaria con il nome di Maria Francesca delle Cinque Piaghe e visse tutta la vita in carità e amore nell’ambiente degradato e miserabile dei quartieri spagnoli.

Il variegato mondo femminile napoletano della religione e del culto non si esaurisce certo qui. Vi si annoverano ancora tante benefattrici che pure senza essere assurte agli alti onori degli altari, si sono prodigate in tante cure per alleviare i patimenti di grandi fasce sociali afflitte dalla miseria, incidendo profondamente nel tessuto sociale della città.
Ne ricordiamo qualcuna: Maria Laurenza, vedova di Giovanni Longo, giurista catalano giunto a Napoli al seguito di Ferdinando il Cattolico, essendo inferma e paralitica, fece voto, ove fosse guarita, di dedicare la sua vita al servizio degli infermi. Ottenuta la grazia, iniziò l’apostolato su consiglio di San Gaetano da Thiene, suo padre spirituale.
Creò un ospedale dedicato insieme con la chiesa a Santa Maria del popolo degli incurabili, che grazie ad offerte provenienti da ogni parte, divenne il maggior ospedale napoletano per infermi cronici. Si ritirò in convento e morì nel 1539.

Orsola Benincasa, discendente dei Benincasa di Siena, nacque a Napoli il 21 ottobre 1550: fin dalla fanciullezza sentì la vocazione per la preghiera, chiese invano di essere ammessa in convento, poi decise di vivere da religiosa in casa. A Napoli fondò la congregazione della Santissima Concezione di Maria. Nella sua umile casa andavano in visita uomini di cultura, di religione e gli stessi vice re. Fondò anche l’Eremitaggio delle Suore Teatine dell’Immacolata Concezione. Morì il 20 ottobre 1618 e nel 1621 iniziò il processo di beatificazione.

Mentre quelle ragazze che non prendevano i voti uscivano dai monasteri e venivano apostrofate bizzoche o monache di casa, rimanendo mezzo religiose o mezzo devote, in sostanza donne libere e senza regole.

Fra loro si ricorda una famosa mistificatrice, Isabella Mellone; era una bizzoca vissuta a Largo delle Pigne di via Foria a metà Settecento, dedita a vita nubile e contemplativa, aveva acquistato fama di Santità attraverso una serie di inganni e finti portenti, convincendo insigni e dotti prelati. Nella sua casa aveva creato una congrega di discepoli che la chiamavano Madre Isabella, ai quali faceva credere che per grazia ricevuta per vivere non aveva bisogno di cibo, né di alcune cose terrene, e il cibo infatti non appariva mai nella sua casa.
Un giorno, un predicatore poco convinto delle possibilità di sopravvivenza senza cibo, soleva ripetere

“Li muort so chilli ca nun magnan; ma li vivi si nun magnano morono”. 

Dopo lunghe indagini, un certo Mastroianni riuscì a smascherarla. Da quel momento il potere ecclesiastico raccolse prove contro la sua finta santità che serviva, in realtà, per accumulare denaro carità dei filantropi per soddisfare notti di orge e pranzi luculliani. Fu processata e condannata a carcere perpetuo in una stanza dell’ospedale degli Incurabili dove morì. E come spesso accade, tanti suoi discepoli continuarono a credere in lei, considerandola una vittima di calunnie invidiose. Credenze ancora oggi persistenti nei riguardi dei più spietati dittatori. Nel prossimo numero vi racconterò l’esistenza e la storia delle regnanti angioine e aragonesi; donne d’ingegno, di pensiero, creatività e spettacolo e di coraggio.

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