Gaetano Di Mauro racconta i ricordi della sua infanzia

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In uno scritto precedente, ho già elencato buona parte dei giochi che facevamo noi bambini. Alla fine del Secondo Conflitto Mondiale verso la metà degli anni Cinquanta, si stava ancora ricostruendo ciò che era stato distrutto dalla guerra.

Vuoi per ragioni culturali, vuoi perché scarseggiavano le risorse primarie, non sempre si otteneva quel che si chiedeva, per questo motivo voglio ricordare con un po’ di nostalgia come si giocava allora è di come sono andate perse alcune abitudini semplici della vita cittadina del passato.

Noi per avere qualche soldino aspettavamo le feste di Natale, di Pasqua, le feste dell’Annunziata di Cappuccini, di San Giovanni ma la più attesa era quella di Campiglione, che durava una settimana. In questo periodo non si andava a scuola ed erano le uniche sere in cui era permesso di rincasare anche a mezzanotte.

Giocavamo alla ricerca dei cerchi di bici in disuso, li spingevamo con un bastoncino ricurvo e tutti insieme si cercava di arrivare alla metà prestabilita.
Si giocava ai “ritrattielli”, dove ogni ragazzino portava le figurine di calciatori famosi e lì si barattavano per ottenere in cambio quelli mancanti alla collezione. Ad esempio, per un Rivera, dovevi dare in cambio due Desiati, per un Riva, due Boninsegna.

Giocavamo a “strummolo”, la trottola, e vinceva chi la faceva rotolare di più. Giocavamo a bottoni e spesso mi ritrovavo sbottonato. Noi che aspettavamo il lunedì dopo la Pasqua per andare a fare la scampagnata, che a Roma è chiamata ancora oggi la gita fuori porta, noi invece andavamo a Casolla con un sacchetto in cui le nostre madri avevano messo qualche avanzo del pranzo domenicale, tipo una polpetta e altre rimanenze, al ritorno di sera eravamo quasi sempre stanchi, sudati e pieni di polvere.

Noi che la doccia la facevamo il fine settimana a Cardito a pagamento, il bagno con le biciclette andavamo a farlo ai Regi lagni. Noi di pasta e fagioli e di pane cotto nati nel ’48, per rapportarci con qualche ragazzina si aspettava la domenica pomeriggio, si andava sul corso principale dove accompagnate da un fratellino più piccolo passeggiavano per farsi corteggiare.

Poi più grandicelli, con le prime motociclette, andavamo fino al Lido Elena a Posillipo e si affittavano le cabine… E a volte anche il costume! Il lido era frequentato, la maggior parte, dalle ragazze dei rioni popolari; le trovavi vicino al bar dove per cento lire ascoltavano le tre canzoni più gettonate d’estate “Piccolo grande amore…” oppure “Sapore di sale” di Gino Paoli. Quelle ragazze erano un po’ sboccate, ma belle e formose, le quali al secondo abbraccio tentavano di portarti a conoscere i genitori. Ad esempio, l’amico Carlo Alberto raccontava che una volta al Rione Sanità fu presentato al padre di una ragazzina, lo senti apostrofare:
“Guagliuncè Ma tu ne porti una semmana?”

Noi tifosi del Napoli, tifavamo per Juliano, Clerici, Cané, e non era sabato finito se non si giocava una partitina di calcio verso mezzanotte al largo Cappuccini, o davanti al Santuario di Campiglione e i partecipanti erano tutti più piccoli di me.
Ricordo Tonino Celiento, Eugenio Licito, Franco Castaldo, Michele De Marzano, Tonino Iovine, noi quelli di tante partite perse, ma quelli per aver vinto la più importante: la partita della vita.

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