C’era una volta la scuola, riflessioni sulla società attuale

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In questi giorni l’opinione pubblica è distratta dalle vicende parlamentari relative all’elezione del Presidente della Repubblica. Si tratta indubbiamente di uno spettacolo degno di attenzione. Noi tutti stiamo assistendo alla lenta agonia  della seconda repubblica.

Il covid è dimenticato e il rincaro delle bollette è una cosa che riguarda solo la povera gente che deve pagarle con il sudore della fronte. Tutto è spettacolo e in Parlamento tutti gli attori, in nome del bene comune perseguono fini privati.

Adesso si è ripreso a far finta di discutere sul nome del prossimo candidato da bruciare, nella speranza che poi il prossimo candidato riceva finalmente l’investitura del Parlamento. Purtroppo, data la posta in palio, si sta assistendo ad una lotta feroce di tutti contro tutti in cui i partiti e le idee sono messe da parte.

In un clima di notte dei lunghi coltelli sembra di vivere la fine di questa repubblica. Che dire?

O tempora o Mores, direbbero gli antichi voltandosi dall’altra parte!

Tale lamento sarebbe valido anche in caso di rielezione necessitata di Mattarella fatta più per spirito di conservazione di una classe politica ormai ai tempi supplementari. Facendo anche io la stessa cosa sperando di sbagliare, richiamo l’attenzione su quanto sta avvenendo altrove e cioè nel campo della scuola.

Naturalmente non mi riferisco ai provvedimenti più o meno recenti di questo governo e nemmeno ai goffi tentativi di chi, volendo indossare gli abiti dell’innovatore, si appresta ad avviare la sperimentazione della scuola a tempi ridotti o meglio la scuola mignon e con un anno in meno.

Come se fosse possibile mettere due litri di acqua in una bottiglia di un litro che non è bucata. Queste cose necessitano di approfondimenti che sembrano essere assenti nella testa degli innovatori.

La cosa che più rende perplessi è l’assenza di un sereno ed approfondito dibattito sui fini e compiti della scuola in Italia in questi ultimi anni. Quello poi che desta stupore e che meglio ricordo è la pretesa giustificazione di ridurre gli anni di scuola per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

Insomma a diciassette anni bisogna uscire dalla scuola per andare a lavorare. E io chiedo: a fare quale lavoro? Ma è proprio vero che è l’Europa che ci chiede questo, come sostiene qualche novello Solone? E, se si, è proprio giusto che i nostri giovani debbano essere destinati dallo stato ai soli lavori subalterni? E poi la scuola deve preparare al lavoro come una qualsiasi bottega artigiana? È questo che gli alunni chiedono? E se non è vero chi ha messo in giro tale fascinosa novità?  

Renato Tisato negli anni settanta del secolo scorso aveva denunciato il pericolo di tale deriva aziendalista. A suo dire la Confindustria (ossia l’associazione degli imprenditori) con insistenza voleva l’abolizione del valore legale del titolo di studio, tanto alla formazione professionale dei lavoratori avrebbero provveduto le singole imprese. Insomma la scuola non serviva per istruire gli addetti alle industrie, anzi i privati erano in grado di fare meglio.

Purtroppo il diritto allo studio era sancito dalla Costituzione e i padroni del vapore dovettero cambiare tattica. E’ bastato svuotare la scuola dei fini propri per raggiungere il risultato dell’esistenza di una classe operaia debole e subordinata.  

Da qui il progressivo svuotamento dei contenuti dei percorsi educativi e la produzione di provvedimenti eversivi mascherati da buone intenzioni, predicate ma non praticate. Le ultime trovate sono: l’alternanza scuola lavoro e la fine del percorso scolastico a diciassette anni. Tutti e due questi capolavori rispondono alla stessa esigenza.

Ridurre la scuola a inutile diplomificio a buon mercato

Una volta la scuola era una palestra in cui gli allievi s’incontravano si confrontavano e, prudentemente sostenuti nel loro percorso educativo, crescevano e conquistavano sapere e capacità critica. Oggi tutto questo va a farsi benedire. La maturazione consapevole non è più un obbiettivo.

Servono competenze per gli operai, magari esperti conoscitori degli strumenti mediali. Le teste pensanti vanno allontanate dal sapere e magari anche i docenti che vogliono lavorare e crescere insieme ai propri allievi. Tutto questo è dannoso e pericoloso.

L’Italia ha bisogno dei suoi giovani pensatori e di quanti dovranno farsi carico di uno sviluppo produttivo coerente con i fini dell’uomo che devono tener in giusto conto il valore della solidarietà e del vivere civile. Perciò io guardo con attenzione e condivisione alla protesta studentesca che in questi giorni bolla a lettere di fuoco l’attuale scuola- lavoro e la riduzione degli anni di formazione.

 

Ma quanti vorranno lasciare le comode poltrone per rischiare in una avventura seriamente riformista le proprie comodità? Adelante Pedro con iucio o lotta dura per il progresso e lo sviluppo?  

 

2 COMMENTS

  1. Caro Pino,
    ti ringrazio per il bellissimo articolo sulla scuola, la nostra scuola, quella in cui abbiamo creduto, tu, io, Peppe e tanti altri ottimi maestri, che avevano a cuore la formazione integrale della persona.
    Allora non si mirava solo alle competenze professionali richieste da confindustria, ma anche allo sviluppo di capacità logiche e creative, alla conoscenza della storia del progresso e della civiltà, alla socializzazione.
    A noi non bastavano mai le ore programmate nell’orario scolastico; io ero sempre l’ultima ad uscire dall’aula con la mia classe, al suono del campanello che segnava la fine dell’ultima opra di lezione.
    Guardo perciò con terrore a sperimentazioni programmate per l’anno scolastico prossimo in alcune scuole superiori vicine, che riducono da cinque a quattro anni il percorso di studi della secondaria di II grado.
    Non chiedono questo i giovani; vogliono una scuola che susciti le emozioni (‘meno computer, più letteratura’ ha affermato Galimberti) favorisca la socializzazione, offra percorsi educativi culturalmente e professionalmente validi e appaganti in un mondo globalizzato, in cui l’Italia è una piccola realtà da cui i nostri giovani migliori fuggono.
    Riflettano i nostri governanti vicini e lontani e persino seriamente al futuro di questi giovani, invece di propinarci l’indecente spettacolo del trasformismo per l’accaparramento di poltrone o lo squallido e surreale teatrino, cui abbiamo recentissimamente assistito per l’elezione del Presidente della Repubblica.

  2. Cara Franca,
    ti ringrazio per il commento che hai voluto fare al mio articolo e per il fatto che mi hai messo insieme ad un gigante come l’indimenticabile nostro concittadino Peppino Crispino. A lui si deve l’idea della città scolastica nel piano di fabbricazione vanificata dal vigente piano regolatore e a lui la convinzione della necessità di fare una villa comunale nel centro del paese senza accontentarsi di contrabbandare come villa il riuso dello spazio della stazione dei tram a spazio verde. Con il mio scritto ho voluto solo sottolineare la necessità di dire no ad un piano di ridimensionamento della scuola destinata alla creazione di una classe subalterna e non alla valorizzazione dei saperi e dello spirito critico nei nostri giovani . Spero tanto che la scintilla accesa dai nostri interventi possa trasformarsi in un incendio purificatore che faccia fallire un disegno perverso e conservatore di equilibri politici dannosi per le nuove generazioni. Ciao e a presto,

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