“Preferirei di no” la migliore citazione di Herman Melville

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di NICOLETTA SAGLIOCCO

Più di un secolo e mezzo fa nasceva dalla penna di Herman Melville la narrazione delle vicissitudini di una personalità ambigua ed evanescente come quella di “Bartleby lo scrivano”. L’opera, edita nel 1853, analizza accuratamente la società del periodo, permettendo all’autore di prevedere i cambiamenti che lo sviluppo economico e la spersonalizzazione dei lavoratori avrebbero apportato alla società stessa smorzando prematuramente le ambizioni delle giovani generazioni.

Certamente il racconto ha una base autobiografica che contribuisce a dare un forte carattere realistico allo scritto. Pochi anni prima della pubblicazione, Melville abbandona i paesaggi marini per trasferirsi in collina, vive la nostalgia del mare e lascia trasparire questo suo sentimento nella storia dello scrivano: un uomo che trascorre le sue giornate in una stanza decadente, descritta come una cella, che vive in cattività perdendo il contatto con la natura, con l’istinto ed il sentimento.

In tutta l’opera il protagonista vive sottraendosi a qualsiasi tipo di richiesta altrui ed esprimendo la sua unica volontà: la negazione, il rifiuto di lavorare, di interagire. Anche questa sua sola scelta non è espressa con determinazione, ma con la formula tiepida che l’ha reso celebre: “Preferirei di no”. Questo è quanto il protagonista riesce a pronunciare in risposta a qualunque domanda, risultando ai suoi interlocutori del tutto sconsiderato e allo stesso tempo invidiabile per il coraggio che tale sconsideratezza richiede.

Questo comportamento criptico sconvolge chiunque gli si avvicini. I suoi colleghi iniziano a provare per lui sentimenti contrastanti tanto che l’autore, approfittando della confusione emotiva di questi ultimi, arriva a creare circostanze paradossali coinvolgendo il lettore a tal punto da far sì che situazioni assurde risultino comprensibili.

L’opera di Melville arriva oggi a noi come una visione, un avvertimento sulle controindicazioni del distacco dell’uomo dalla sua natura dopo l’inserimento nella società contemporanea e riesce nel suo intento offrendo una descrizione amara della borghesia ottocentesca di cui Bartleby può essere considerato vittima. Una vittima che combatte in maniera ostinata, cercando la libertà nella negazione dell’esistenza, sottraendosi all’istinto e pagando il costo della sua ostinazione con l’autodistruzione.

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