Gli antichi mestieri scomparsi: i posteggiatori, la nutrice e a’capera

0
1835

Nella rubrica degli antichi mestieri scomparsi, Gaetano Di Mauro oggi parla dei posteggiatori, della nutrice e delle capere

I posteggiatori

Sui posteggiatori napoletani, si sono scritti decine di libri e raccontate centinaia di storie. In origine venivano apostrofati  “giullari“, “menestrelli’, “ romanzaturi “ e per sette secoli vissero tra il capo di Posillipo e il ponte della Maddalena, suonavano e cantavano per strada, nelle taverne, davanti agli alberghi più rinomati, nei ristoranti, in casa di ricchi mercanti e di aristocratici: spesso erano oggetto di critiche perché si protaevano fino al mattino, tanto che Federico II per difendere il sonno dei napoletani, fu costretto ad emanare un divieto di esibirsi dopo l’una di notte.

Anche perché spesso capitava che il festino si chiudesse in anticipo, per un’improvvisa rissa con i vicini esasperati dal continuo frastuono.

Tra il 500 e il 600 i posteggiatori erano così tanti che la maggior parte emigrava in paesi lontani, per poi ritornare con gli occhi pieni di soddisfazione, ma con le tasche inesauribilmente vuote.

Nel 1835 molti posteggiatori cantavano una canzone nuova, autore Raffaele Sacco “ te voglio bene assai “, brano che accompagnò due avvenimenti memorabili che accaddero a Napoli: l’inaugurazione della prima ferrovia Napoli-Portici e l’illuminazione nelle strade con i lampioni a gas. Lentamente questo armonioso esercito è stato decimato, un’agonia lenta cominciata con l’avvento delle radio, ed accelerata dalle severe norme su diritto d’autore.

L’ultimo posteggiatore l’ho rincontrato poco tempo fa; lo conobbi a metà degli anni settanta, in un ristorante di Mergellina, lui giovincello accompagnava con la chitarra l’80enne Giuseppe Martorelli, mi raccontò di aver fatto parte di un gruppo il quale accompagnò per tanto tempo il grande Umberto Bindi, autore di brani indimenticabili, chi non ricorda “ il nostro concerto “canzone all’epoca cantata in tutti i locali notturni. Attualmente Mario Carbone si esibisce nei migliori locali partenopei e puteolani e a giorni alterni canta e intrattiene gli ospiti del Cral comunale di Napoli, a Bagnoli.

 La nutrice

Le nutrice (balia) si distinguevano in due tipi: asciutta se doveva solo accudire il bambino, di latte se doveva tenerlo al seno. Venivano cercate dai benestanti, che le prendevano in casa quando il latte mancava o scarseggiava e allora erano una necessità, prima degli omogenizzati , del latte in polvere etc…

Le preferite erano quelle dei paesi, ci si rivolgeva a loro per due ragioni fondamentali: la prima si disponeva della stessa notte e giorno, la seconda più importante perché una volta andata via difficilmente diffondeva notizie sconce accadute nella casa.

Perché essendo quasi sempre formose e rosee spesso erano oggetti di attenzione morbosa da parte degli uomini di casa, si raccontano svariati episodi al riguardo.

Venivano da Procida, Sorrento, Frattamaggiore, Piedimonte D’Alife, le più numerose però erano di Pietrastornina perché sponsorizzate dai guardaporti anche loro in gran numero pietrastornesi. Oltre al salario, i più ricchi, le colmavano di doni, il primo regalo al momento dell’accordo, gli altri al primo dentino, alla prima parola, ai primi passi.

le davano nomignoli affettuosi come “mammazezzella “ da zizza seno, nei pomeriggi di riposo si radunavano nella villa comunale, tra la cassa armonica e la fontana delle paperelle, spesse attorniate da insistenti corteggiatori.

Caivano ne ricorda una molto nota, fu Consiglia Del Gaudio detta a’ sangiuannar perché abitava nel rione di San Giovanni, fu mamma di latte del grande Peppino De Filippo con lei si invertirono i ruoli, non fu lei che si spostò a Napoli, ma fu De Filippo che per un certo periodo affidò il bambino alla nutricce caivanese ed era lei che a cadenza veniva a trovarlo insieme ai suoi fratellini, Eduardo e Titina, figli concepiti fuori letto insieme al grande Eduardo Scarpetta. Peppino non si dimenticò mai di questa seconda mamma ricordandola spesso nei suoi monologhi .

  A’ CAPERA

A’ capera antenata delle parrucchiere napoletane, il suo era un mestiere faticoso, fatto di arrampicata per i vicoli e per le scale, esposto alle lamentele di una clientela difficile per questi motivi la massima dice che “ lo denaro della capera è denaro che sa di fele “ lavorando a domicilio raccoglieva mille sfoghi, indiscrezioni, notizie sussurrate; prometteva di non riferire ad anima viva, e quasi mai manteneva l’impegno, così capera diventò e resta sinonimo di donna pettegola.

Per questo mia nonna da giovane mi diceva “Gaetà quando vuoi sapere tutto di una donna contatta la sua capera e conoscerai completamente la sua vita! “

Oscar Corona nel suo libro dedicato agli antichi mestieri ne cita una famosa, Nannina, orgogliosa dello sfregio lasciatole su una guancia dalla rasoiata dell’amante tradita. Vestivano sempre con molta nettezza ed anche con al quanta ricercatezza per il suo stato; e in particolar modo il suo capo doveva essere una specie di mostra per le donne di civile condizione, era previsto ‘abbonamento per le clienti fisse’.

I ferri del mestiere indispensabili erano le pinze infuocate per arricciare i boccoli tirabaci, poi,  particolari acconciature erano studiate per le maeste (le popolane di riguardo) alla vigilia del pellegrinaggio al santuario irpino di Montevergine a bordo di carrozze e poi in auto infiorate come un altare di matrimonio.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here