Il vicecapo della polizia De Iesu: “Troppi giovani persi nel crimine”

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ll questore De Iesu con gli uomini della Squadra mobile
ll questore De Iesu con gli uomini della Squadra mobile

Interessante intervista ad Antonio De Iesu su Repubblica.it che ha attraversato, da investigatore e dirigente, tutte le mutazioni della criminalità napoletana e non solo, partendo dal basso e scalando, gradino dopo gradino, i vertici di una carriera intensa e sempre in prima fila. Da ieri è il nuovo vicecapo della polizia. Lascerà la questura entro giugno, sul successore si fanno due nomi: Alessandro Giuliano, direttore dello “Sco”, figlio di Boris, il capo della Mobile di Palermo ucciso dalla mafia nel 1979; e il questore di Catania, il napoletano Alberto Francini. Ma su questo non dice una parola.

Questore De Iesu, ripercorriamo, attraverso le vicende napoletane che ha affrontato, una carriera lunga 46 anni…
«Ho attraversato tutte le fasi generazionali del crimine. Al mio esordio, nel 1977, da giovane tenente, c’era la camorra del contrabbando, quella dei motoscafi blu. Ma alla fine del 1979 scoppiò il grande conflitto tra Cutolo e la Nuova Famiglia: un delirio di criminalità con una media di 200 uccisi l’anno. Io facevo parte di una squadra speciale anticamorra con 40 uomini, con la missione di prendere i latitanti. Due anni senza tregua. Con la fortuna dei neofiti catturammo subito cinque del clan Nuvoletta che stavano per compiere un delitto. Poi, nell’ 82, a Caivano, la camorra mi sparò e mi colpì».

Lei è stato ferito dai camorristi?

«Sì, in un conflitto a fuoco con 4 killer di Cutolo. Un proiettile mi spezzò l’osso di una gamba, fui operato, mi è rimasto un frammento di proiettile nel piede sinistro. Vedo ancora quelle immagini: il fuoco che parte dalle pistole dei camorristi. Erano ventenni decisi a tutto. Basti pensare che il loro capo, Sergio Bianchi, perse poi la vita in un altro conflitto a fuoco avvenuto 4 mesi dopo. Terminata questa esperienza ho diretto vari commissariati, Mercato, Giugliano, territorio difficilissimo all’epoca, controllato dai Mallardo (noi arrestammo il capoclan) e guidato l’Antirapina e l’Upg che non significa soltanto gestire le “volanti” ma dettare la strategia per il controllo del territorio. Nel 2005 sono diventato vicario e poi da questore sono stato ad Avellino, Salerno, Bari e Milano. Una esperienza, quest’ultima, che mi ha completato in una città ben organizzata e strutturata, dinamica e moderna. Quindi, 2 anni fa, il capo della polizia mi chiese di tornare a Napoli da questore».

Cosa la preoccupa di più?
«C’è una fascia d’età, più o meno dai 17 ai 22 anni, dove alcuni giovani si perdono e affondano nel crimine più feroce. Parlo di ragazzini senza scrupoli, ostaggio di una sindrome di onnipotenza, che non pensano neppure alle conseguenze delle loro azioni criminali. Questo mi preoccupa molto. Non hanno, lo ripeto, strategie complesse o di lunga durata, sparano, letteralmente, nel mucchio. Prendete le cosiddette “stese”, sono, dal punto di vista criminale, un punto di debolezza per chi le compie perché ha necessità di dire: io esisto. E la modalità con cui lo fa, richiama inevitabilmente la presenza e l’attenzione delle forze dell’ordine. Questi giovani perduti sono un pericolo serio, guardiamo ai tre fatti che in rapida successione hanno segnato Napoli: l’uccisione di un uomo davanti a una scuola all’orario di ingresso a San Giovanni a Teduccio; l’agguato di piazza Nazionale dove chi ha sparato lo ha fatto tra la folla incurante di colpire una bimba innocente; l’assalto all’ospedale Pellegrini nella notte; non sbaglio a definire tutto questo un delirio criminale. Una fenomenologia ben descritta, tra l’altro, in una sentenza di condanna al gruppo chiamato “paranza dei bambini”: questi giovanissimi sono ossessionati dalla violenza e dalla morte, quasi la cercano, sicuramente la sfidano».

Qual è il successo investigativo che le sta più a cuore?
«Uno, recente, recentissimo. Che ha visto uniti, coesi e vincenti polizia, carabinieri e guardia di finanza: la cattura di chi ha sparato alla piccola Noemi. Avvenuta nel giorno in cui dall’ospedale Santobono ci dicevano che la piccola era in forte ripresa. Un momento indimenticabile la coincidenza di questi due fatti. Bello, anche perché, lo ribadisco, è stata una azione investigativa congiunta di tutte le forze dell’ordine, che mai come ora fanno della collaborazione e dello scambio di informazioni un valore primario, coordinato felicemente dalla procura guidata da Giovanni Melillo e dai suoi magistrati. Tra noi, carabinieri e finanza c’è grandissima collaborazione».

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