Il coronavirus è la nostra Černobyl

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Il 26 aprile 1986 (era l’1:23) uno dei quattro reattori della centrale nucleare ubicata nell’Ucraina settentrionale esplose causando la fuoriuscita di materiale radioattivo.

Il pulviscolo radioattivo sospinto dai venti raggiunse rapidamente la Finlandia, Scandinavia, europa del nord e poi contaminò l’aria dell’Europa centrale e il Mediterraneo.

Per spegnere il fuoco nucleare intervennero vigili del fuoco tecnici e militari. Sul reattore furono riversati tonnellate di bario, silicio e sabbia. Il giorno successivo oltre 300.000 persone dovettero abbandonare le loro case e un territorio vastissimo intorno alla centrale fu dichiarato zona interdetta e inaccessibile.

Ancora oggi non si conosce il numero esatto delle persone che perirono nel corso dello scoppio. Tantomeno è noto il numero delle persone colpite dalle radiazioni che morirono negli anni successivi. Quello che è certo è che senza il sacrificio di tecnici operai e militari non sarebbe stato possibile spegnere la brace atomica.

 

Solo dopo decenni l’ex URSS ha riconosciuto le dimensioni della catastrofe e il ruolo di quanti simularono per salvare il mondo.

Ai martiri di Černobyl è stato riconosciuto il titolo di eroi del lavoro.

 

 

 

Il coronavirus non è un fungo radioattivo: è qualcosa di più subdolo, ma altrettanto letale. Non sappiamo quanto il covid-19 è incominciato a circolare nel nostro paese e quando potremmo dichiarare finita l’emergenza.

Quello che sappiamo è che migliaia di persone sono state contagiate e altrettante sono morte. Il covid-19 si espande con la stessa rapidità di un isotopo radioattivo impazzito. E’ presente in ogni continente e ad ogni latitudine. Il covid-19 non trasformerà il mondo in una enorme Černobyl, ma se non adeguatamente fronteggiato diventerà un flagello che porterà fame e distruzione nelle aree più povere del mondo.

Quando guardiamo una pandemia non dobbiamo solo guardare alle nostre condizioni di vita nelle città che abitiamo, ma dobbiamo pensare alle centinaia di milioni di persone che vivono senza acqua, senza cibo e senza medicine nelle aree più degradate dell’Africa e dell’Asia.

L’attuale tragedia sanitaria che stiamo vivendo dovrebbe indurci tutti a superare indifferenze e egoismi. Abitiamo tutti lo stesso Mondo e senza un futuro collettivo non ci sarà futuro per nessuno.

 

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