Prete ucciso a Como: il volto positivo della Chiesa che lavora e soffre in silenzio

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Articolo a cura di Biagio Mugione – In questi giorni abbiamo appreso molte notizie catastrofiche, che ci narrano giovani, vittime innocenti di atti vandalici e incidenti; come il giovane Willy Monteiro Duarte, di Colleferro, e la giovane caivanese Paola.

La vittima di quest’ultimo omicidio, invece, è un prete comasco: don Roberto Malgesini, 51 anni; il quale viveva il suo ministero aiutando i senzatetto e tante altre persone disagiate.
Il protagonista di questa innesima triste vicenda non è un prete sorpreso “in flagranza di reato”, come purtroppo abbiamo saputo di frequente negli ultimi tempi; ma bensì un uomo che ha lavorato in silenzio per una giusta causa, che è stato mal ripagato da chi avrebbe dovuto apprezzare il suo impegno.

Gira spesso sui social uno slogan che dice: “i preti sono come gli aerei; fanno notizia solo quando cadono, ma in realtà ce ne sono tanti che volano”. Questo slogan definisce esattamente il periodo che stiamo vivendo, come società e come Chiesa; ovvero il periodo in cui si dà peso solo a ciò che è negativo e distruttivo, insabbiando così tutto il bene che viene operato in ogni parte del mondo, da persone valide oscurate da un negativismo paradossale, che influenza il divulgare delle notizie nella società moderna, in cui si ha più attenzione per gli scandali che per il bene operato nei diversi ambiti della società.

Cosa c’è da dire davanti all’omicidio di un prete? Che per giunta è opera di un senzatetto da lui aiutato? “Forse sarebbe stato meglio lasciar perdere, perche infondo non è aiutando quelle poche persone che si salva il modo. Sarebbe stato meglio spendere il tempo tra messa e sacramenti, magari passando più tempo in Chiesa; almeno non avrebbe corso rischi”. Questo è il punto di vista di chi crede che quanto operato da don Roberto sia servito solo ad una tragica fine e a nulla di buono.

Da credente provo a dare una mia risposta alle domande sopra poste: l’etica cristiana consiste nel dare totalmente se stessi agli altri e di non aspettarci per forza una “ricompensa”da chi riceve il nostro aiuto. Qui non esiste la “legge del contraccambio”, il premio non lo riceviamo dagli uomini, ma da Dio.

Il sacrificio di sé, per il credente è l’ occasione propizia per portare frutto (non per forza morendo). Una vita spesa a risparmiare le proprie energie non è altro che una vita fine a sé stessa. Essere cristiano, prete, religioso o religiosa non vuol dire andare incontro alle comodità del misticismo, ma bensì essere disposti a “perdere”in qualche modo sé stessi, spendendo le proprie energie per andare incontro all’altro, anche se non sempre quest’ultimo ci ripaga con gratitudine; Gesù Cristo ne è l’esempio.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a episodi più o meno simili, come quello di don Pino Puglisi nel quartiere di Brancaccio a Palermo, e quello del nostro condiocesano don Peppe Diana, di Casal di Principe.

Non sono certamente solo loro i martiri del nostro tempo, chissà quanti ce ne saranno ancora in ogni parte del mondo, la cui notorietà è invisibile. Ma il cristiano non vive per essere ammirato e applaudito dagli altri, ma bensì per rendere conto a Dio del proprio operato.

Il sangue versato da don Roberto, insieme a quello di tutti gli altri martiri del nostro tempo, è la risposta a chi pensa che la Chiesa taccia davanti alle esigenze dell’umanità. La notorietà di quest’uomo, di questo prete, è giunta fino a noi a causa della sua ingiusta morte, ma quando era in vita egli era uno come tanti che non hanno voce.

E’ proprio il suo sangue che dà testimonianza di Cristo, come lo definisce l’autore della lettera agli ebrei: “il sangue dell’aspersione, dalla voce più eloquente di quello di Abele” (Eb, 12, 24). Riferendosi allo stesso Gesù, che con il suo sacrificio ha portato a compimento la prefigurazione di Abele, ucciso per mano del fratello Caino.

A volte le parole non bastano a narrare ciò che accade oggi, e il sacrificio di don Roberto è il chiaro messaggio di quella Chiesa silenziosa, che non è formata solamente da uomini che sbagliano, ma soprattutto da persone valide, che come lui fanno dono della propria vita al prossimo.

Questa volta a far rumore non è la notizia di un prete “caduto”nell’errore, ma bensì quella di un prete che è “volato” ad alta quota, come tanti altri che sono sparsi nel mondo, lavorando e soffrendo in silenzio, che noi non conosciamo.

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