Antichi modi di dire. Il napoletano è molto più di un dialetto…

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In primis, mi preme ringraziare tutti quelli che leggendo “Miezz e Putec” si sono emozionati e commossi, ai 30mila di Facebook che l’hanno visionato e condiviso.

Che il napoletano sia più di un dialetto, ma una vera e propria lingua, è facile dimostrarlo, perché oltre alle molteplici radici linguistiche che vanno dal greco, al latino, al francese e allo spagnolo, si differenzia in maniera marcata da tutti gli altri dialetti.

E come ogni lingua, possiede locuzioni intraducibili che non sono dei veri e propri proverbi ma manifestazione di saggezza popolare.

Ricordi passati…

Modi di dire usati dai nostri nonni per deriderci scherzosamente per metterci in guardia a modo loro dalle insidie e dai pettegolezzi di un tempo. Uno in particolare, lo usava mia nonna quando insieme a due miei amichetti andavano a giocare a pallone nell’aia del nostro palazzo appena ci vedeva arrivare, esclamava: “E biccan so arrivat a tre d’a chiazza (piazza) Mimì, Cocò e Carmine o’ pazzo!” Di solito, l’ultimo dei tre veniva apostrofato “cacam…” e veniva usato per definire un trio di persone perditempo o per indicare quelle nelle piazze che si intrattenevano ” a ruseca’ e murmulià”.

Diversi detti napoletani e il loro significato

“Si l’urdeme lampione e Fuorerotta” e quando si dice di chi non abbia voce in capitolo. Infatti ai tempi dell’illuminazione pubblica a gas. L’ultimo lampione si trovava a Fuorigrotta ed era contraddistinto dal numero 6666 che secondo la smorfia, oltre al sesso femminile, significa quattro volte scemo.

“A sporta do turallaro” rivolta ad una persona costretta a continui spostamenti, come il canestro del venditore ambulante di taralli.

“O puzzo ‘e Santa Patrizia” rivolto agli insaziabili, il pozzo esistente nel convento di San Gregorio Armeno e oggetto di donazioni in monete, che è così profondo da non riempirsi mai.

“A mal notte è a’ figlia femmena” sottocultura alquanto diffusa nei contadini del meridione, parole di contadini per lavorare nei campi e servivano soprattutto ai figli maschi, “di contro però” si afferma che “chi vo’ accumincia’ figlia femmena adda fa’”.

“Perdere Filippo c’o’ panaro” si dice in situazioni irrimediabilmente fallite. Filippo, incaricato di consegnare il canestro al destinatario, se ne è appropriato dileguandosi.

“Ten a neve int a sacc!” si dice alle persone frettolose, prima dei frigoriferi i generi alimentari venivano raffreddati mediante l’impiego della neve trasportata dalle montagne dell’Irpinia su carri appositamente attrezzati, si pensi viceversa quanta fretta avrebbe avuto chi avesse voluto portarla nelle proprie tasche.

“A Moneca ‘e chianura” così si vuole apostrofare le persone incontentabili, riferita a una religiosa buongustaia di detta località, ma sofferente ad una fetta di pane troppo secca, avvertisse mal di denti, mentre di fronte a una troppo morbida manifestasse disgusto, al punto che i napoletani affermano “A moneca ‘e chianura troppo muscio nu le piace e troppo tuosto lle fa male”.

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