L’ex Procuratore Lepore: fa comodo a troppi, ecco perché la giustizia non ha mai funzionato…

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di FRANCESCO CELIENTO

CAIVANO – E’ venuto ancora a Caivano l’ex procuratore della Repubblica di Napoli, Giovandomenico Lepore (nella foto sopra e sinistra con l’artista Lucia Cassini e il vescovo Spinillo), invitato ad aprire l’anno scolastico presso la scuola “Viviani” nel Parco Verde, partecipando ad una tavola rotonda con politici, esperti, uomini di chiesa ed artisti. Lepore, già a Caivano qualche mese fa per una cerimonia per ricordare la povera Fortuna Loffredo, dopo il dibattito si è intrattenuto e ci ha concesso quest’intervista sulla giustizia e la legalità, un tema sempre attuale a Caivano, città e periferie.

 Cosa significa la sua presenza qui, in un quartiere ad alto rischio come il Parco Verde?

“Io sono legato a Caivano, perché una volta mi trovavo a Scampia per un evento e nell’occasione conobbi un’associazione caivanese che mi chiese aiuto perché loro avevano un campo di calcio. Siccome conoscevo il direttore provinciale, gli feci recapitare del materiale sportivo per i ragazzi, per una causa comunque meritoria. Successivamente mi sono interessato anche a questa situazione del Parco Verde, perché dopo che il mercato grosso della droga è stato cacciato da Scampia, si è spostato a Napoli Nord, tra cui anche qui in questo quartiere. C’è, dunque, un interesse di tipo professionale e umano allo stesso tempo”.

Lei ha diretto l’ufficio inquirente più grande di tutta Italia, ovvero la Procura di Napoli. C’è ancora speranza affinché Napoli e la provincia possano rialzarsi dal degrado e dalla corruzione?

“Dal punto di vista criminale posso dire che tutti i grandi capi dei clan sono tutti in galera. Quelli che stanno operando adesso sono tutti giovani e quindi pericolosi perché senza regole, l’attività dei clan, però, è molto più limitata. Poi c’è la questione del “napoletano”, e con questo appellativo intendo napoletano di Napoli e non della provincia di Salerno o Caserta, che ha nel Dna il fatto di non seguire le regole, basti vedere che passiamo col rosso e non mettiamo la cintura, e questi non sono solo cliché ma realtà oggettive. È un popolo che non ha rispetto per se stesso e nemmeno per gli altri, e questo è un vero peccato. Però se il napoletano abita fuori è il primo a rispettare le regole”.

Appena andato in pensione lei ha scritto un libro dal titolo molto eloquente, “Chiamatela pure giustizia, se vi pare…”

“Sí, il titolo dice tutto il mio pensiero su come si amministra la giustizia adesso. Come possiamo palare di giustizia quando una sentenza in ambito penale viene emessa in primo grado dopo nove anni dal fatto oppure quando si esegue una pena residua dopo 12-13 anni, quando la persona in questione si è già rifatta una vita? Anche nel civile viviamo le stesse storture e dunque gli stessi problemi, che razza di giustizia è questa? La mia conclusione è che alla fine questo tipo di giustizia che non funziona, anzi che non ha mai funzionato, faccia comodo a tutti, non solo a politici e delinquenti, ma anche ai cittadini comuni che trovano la possibilità di sfruttare questa lentezza anche quando sono essi stessi ad incorrere in qualche piccola violazione. Eppure basterebbe poco per cambiare”.

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